Umiliati ed Esaltati : Estratto del capitolo I


Una donna forte e virtuosa chi la troverà? Il suo pregio sorpassa di molto quello delle perle. – Proverbi 31:10



Le sue compagne di cella si erano addormentate. Adevisa russava. Sibilla aveva il volto di una statua della Vergine.

Aveva provveduto ad alimentare la lampada sotto il suo pagliericcio, colma d’olio. Portandosela con l’acciarino nascosto nell’abito, uscì, silenziosissimi i suoi passi sul pavimento e sui gradini, cauta a non fare rumore urtando contro qualcosa o inciampando sulla pietra o su qualche pezzo di legno. Insomma, doveva stare attenta soprattutto ai resti dei lavori di restauro dell’Abbazia di Saint-Wandrille di Fontenelle, che, dopo l’incendio quarantasette anni or sono, era stata riconsacrata molto prima del suo arrivo, ma ancora c’erano tratti da riformare.

Si raccontava che la notte dell’incendio aveva avuto una parvenza d’Armageddon. Le raffiche di vento che soffiavano nell’oscurità avevano diffuso una nuvolaglia costellata di scintille, che si trasformavano in fiamme il cui morso era impietoso. Inerme la pompa della pietra, giacché le mura si reggevano su di una struttura legnosa. Le colonne che si diramavano all’insù nelle volte, alquanto solide in apparenza, aventi parimenti ossature di legno. Vittime però divorate con velocità diversa rispetto agli antichissimi libri, come un salterio di Sant’Arduino in pergamena fragilissima, al quale il fuoco si era appreso in tal modo che era divampato come un fascio di ramoscelli rinsecchiti. Fiammate si erano levate da messali e da un vangelo copiati dallo stesso santo, come se per i peccati commessi in quel luogo preferissero abbandonarlo a sé stesso – c’era chi a quell’epoca parlava di sodomia tra alcuni monaci, e di suore che fornicavano impiegando marchingegni diabolici –, il fumo riportandoli al loro scriba in Cielo.

Opere ancor più vecchie ardevano all’istante, senza alcun tempo di respiro: si innalzavano lingue di fuoco balzate dalle bocche di diavoli famelici; lambivano i monaci che cercavano di salvarle, uno di essi costretto a ritrarre le mani che si erano ustionate, un altro dovendo levarsi la veste sfilandola dal capo, poiché era diventata combustibile per le fiamme.

Dal soffitto di legno a volta del refettorio stramazzavano le travi avvampate. I rottami infuocati cadevano con un rovinio assordante. Le grida dei monaci andavano poi a sommarsi ai muggiti, grugniti e belati degli animali terrorizzati che spezzavano i loro legami. Travolgevano le porte e fuggivano dagli stabbi e dalle stalle. Non le piaceva nemmeno immaginare come si sarebbe sentita, se fosse vissuta a quei tempi, se avesse visto Rotgarius – il bel cavallino dalla criniera rossa nato da poche settimane, a cui aveva dato nome – incalzato dalle fiamme.

Nondimeno ora era Giuditta che bruciava e talvolta si guardava indietro, fintanto che non arrivò all’altare della cappella delle suore, dinanzi al quale si inginocchiò e attese.

Echeggiarono dei passi, ma non si volse di scatto come le era venuta la tentazione in un primo attimo. Aspettò che l’altra le si genuflettesse accanto.

Ci hai messo molto tempo, – le sussurrò.

Che potevo fare? Gisla non voleva addormentarsi! – Le fece cenno di silenzio; l’appena arrivata s’accorse di aver alzato la voce più del dovuto e si accostò alla sorella: – Potresti spiegarmi di cosa vuoi parlare che non possa essere ascoltato da nessun’altra persona?

Tempo fa, Emma, non te l’ho mai riferito perché mi sono sentita molto turbata in questi ultimi mesi, andavo a parlare con Roberto... ma mi arrestai, allibita, perché lo vidi che pregava insieme a un uomo bellissimo, – l’altra si accigliò, bisbigliò qualcosa di incomprensibile e mantenne le labbra socchiuse. Non era ancora il suo momento di parlare. – Pensai, alle prime, che fosse un angelo del Signore disceso per conversare con il nostro virtuoso fratello, ma non ebbi il coraggio di avvicinarmi di più onde contemplare quella luce. Mi nascosi. Ma da allora non cessai di pensare ad egli.

Giuditta, non ci posso credere! Proprio tu, che sempre mi sei sembrata la più forte e decisa tra noi due, colei che per prima avrebbe preso i voti... Ma chi era costui? Un uomo o un angelo?

Non era un angelo. È un prode cavaliere, Ruggero d’Altavilla. Quando domandai della sua identità a Roberto, mi rispose che era venuto a chiedergli consiglio e una benedizione per il suo viaggio in Italia, dove è andato per unirsi al fratello, che per coincidenza si chiama anch’egli Roberto.

Un Altavilla… Si sente parlare che siano diventati signori dell’Italia e la spada del papa.

Lo sai bene che prima non pensavo di sposarmi, giacché non credevo che avrei mai trovato un uomo degno di me, per davvero virtuoso. Ero sicura che soltanto Gesù mi avrebbe soddisfatta. Ma dopo aver visto quell’uomo, saputo della sua vita, delle sue gesta, del suo coraggio, ed aver riflettuto a lungo, sono giunta alla conclusione che c’è qualcosa di grande che mi aspetta in Italia. Ho financo fatto un sogno con un angelo simile a Ruggero. Sfoderava una spada che scompariva nella luce e diventava una croce abbagliante dinanzi ai miei occhi. Ed ora Roberto mi mantiene informata, sempre portando seco notizie sugli Altavilla.

Allora sa delle tue intenzioni.

Gliele ho confessate. Ma gli ho pure detto che mi sposerò soltanto se le notizie su Ruggero continueranno a convalidare le mie aspettative. Finora non mi hanno deluso.

Ma Ruggero lo sa?

No. E proprio per questo dobbiamo fare in fretta, prima che si trovi qualcun’altra. Quella volta non si avvide di me.

E vorresti dunque il mio consiglio a riguardo? – Emma si accigliò; sua sorella abbassò la testa e serrò le labbra. – Mi sembra che tu ti sia già decisa.

Infatti. Ma vorrei comunque ascoltare il tuo parere.

Perché dovrei essere più assennata di te? Ho sempre pensato fosse il contrario. Ero io quella che scoccava sguardi verso i ragazzi. Ed è da quando per la prima volta siamo entrate in un monastero che cerchi di convincermi che non vale la pena restare nel mondo, che nessun uomo è degno di una donna virtuosa. Questo tranne che negli ultimi tempi, è vero, non me n’ero accorta. Ma prima eri sempre tu a ricordarmi le notti in cui tuo padre portava a casa una nuova concubina e mamma doveva riceverla a testa bassa, – la sua povera sorella uterina aveva perso il padre in tenera età e aveva dovuto convivere con Guglielmo d’Évreux. – Sebbene fosse pur sempre lei a dare gli ordini ai servi e a imbandire le tavole nei banchetti, durante i quali lui infilava adagio le fettine di carne d’abbacchio, tagliate sottilissimamente, nelle bocche di quelle mignotte abituate a pezzi ben più grossi! Sapeva solo mangiare, con una foga simile all’ingordigia, e combattere. Versava a terra molto più sangue che vino. Ruggero sarà forse diverso da tuo padre?

Messer Guglielmo d’Évreux non era un uomo devoto, – le si incupì la voce. – Evitava di andare a messa e, allorquando era giovane e si ubriacava, talvolta diceva che l’arcangelo Michele, se fosse stato davvero così forte, sarebbe già sceso in terra per prenderlo per i capelli e trascinarlo in chiesa. Ruggero invece è partito verso l’Italia come pellegrino, si è recato innanzitutto al Monte Gargano, e intende schiacciare i filistei dei giorni nostri, – Emma dilatò gli occhi blu scuro, – i tiranni saraceni della Sicilia, onde glorificare la Chiesa e il Signore. Le terre occupate dagli agareni avranno poi bisogno di discendenza cristiana, affinché mai più tornino nelle loro mani, – strinse le dita intrecciate. – Roberto mi ha pure parlato per più di una volta di Tancredi d’Altavilla, e su come l’audacia e la pietà coesistano in armonia nella loro stirpe.

Che cosa ti ha raccontato?

Quand’era giovane, Tancredi era molto votato sia agli esercizi militari che a quelli della fede. Non di rado faceva penitenza. E nei suoi viaggi spesso cercava di trovare qualcuno che fosse stanco di subire soprusi e provava ad aiutarlo. Per di più, rendeva servigi a principi che abbisognavano delle sue armi e delle sue sollecitudini per combattere gente empia o vendicare offese ingiustificate. Una volta, allorché serviva il duca Riccardo, erano a caccia e avvistarono un singlare dalle zanne che somigliavano a spade. I cani cominciarono l’inseguimento, il duca e i cavalieri ostacolati però dalla densità della foresta. La belva si accorse che i cavalli si erano rallentati e si girò per difendersi dai levrieri. Aveva alle sue spalle un muro che le avrebbe protetto il didietro. Li squarciò con le sue affilatissime zanne, siccome non potevano contare sull’aiuto di nessun cacciatore. Tancredi fu il primo a riuscire a liberarsi dai rami aggrovigliati. Aveva lasciato indietro il cavallo e aveva proseguito a piedi. Testimone della strage dei cani, si affrettò a riscattarli. Sebbene la nostra tradizione determini che l’animale cacciato dovrebbe spettare alla lancia del signore, egli era premuroso di aiutare quelle creature di Dio. Il cinghiale allora, accantonando i levrieri lacerati, corse verso Tancredi, determinato a fare lo stesso con lui. L’Altavilla, che era assai possente, andò d’incontro al porco con la sua spada, ma non gli scagliò un fendente. Tenne l’elsa di fronte a sé e affondò la lama così profondamente in quel cranio duro, nella direzione del cuore, che nulla all’infuori della stessa elsa restò visibile all’esterno del corpo della bestia feroce, – una smorfia solcò il volto di Emma, arricciandole il nasino. – Ti sembra spaventoso? Dopo aver ucciso il cinghiale, Tancredi scappò prima che il duca scoprisse cos’era successo. Ma lasciò la spada ficcata nella testa della belva. Il duca, quando poi raggiunse il cinghiale morto, ordinò che fosse esaminato dal suo maestro di caccia e da altri suoi uomini di fiducia. Poscia che costatò il colpo magnifico che era stato dato, ne fu impressionato a tal segno da credere che stesse sognando. Chiese a chi appartenesse quella spada. Dichiarò che, per la bravura del colpo, avrebbe concesso il suo perdono al valoroso e, allorché seppe che era Tancredi, il duca e i suoi vassalli lo stimarono molto più di prima. In quei giorni, serviva il duca alla sua corte con dieci uomini sotto il suo comando; gli furono affidati altri dieci, e per di più gli fu consegnata una generosa somma d’argento, ma preferì donarla alla Chiesa.

Se tutto questo è vero...

Non credo che Roberto sia un bugiardo.

Emma volse il viso a sinistra e lanciò uscire dalle labbra un soffio. Giuditta era pronta a dire altro, ma la sorella riprese per prima la parola:

Ti accompagnerò in Italia. Siamo figlie dello stesso ventre. Siamo state sempre insieme e continuerà a essere così, – si spense la fiamma moribonda di una delle candele dell’altare.

Non so come ringraziarti. Ma sapevo che mi avresti compreso e sostenuto, come hai sempre fatto.

Mi auguro però che proverai anche tu a comprendermi e sostenermi, quando mi troverò con un bel commilitone di Ruggero, – entrambe risero, ma i loro occhi ritrovarono il crocifisso sull’altare. Le risatine si interruppero, per prime quelle di Giuditta. – Ora è meglio che torniamo a dormire.

Giuditta annuì con il capo. Si sistemò il velo e presero la via di ritorno verso le loro rispettive celle.

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